I neofascisti senza social chiedono asilo a Putin

È stata salutata con comprensibile entusiasmo la notizia  che le piattaforme social di Mark Zuckerberg, Facebook e Instagram, abbiano bannato tutte le pagine di Forza nuova e di In concreto una società privata abbia fatto ciò che la politica non ha il coraggio di fare. Bene dunque, la chiusura di queste pagine. Ma non benissimo, guardando quanto è accaduto nei giorni scorsi, ossia la cancellazione di decine di pagine di controinformazione che hanno pubblicato notizie e immagini della resistenza curda e dell’aggressione turca nel Rojava per «ripetute violazione degli standard della community».

La politica mette in imbarazzo Zuckerberg e i suoi, che cercano di stare in equilibrio tra libertà di espressione e tutela dei profitti. Da mesi giustamente sono stati espulsi i profili ritenuti veicolo di hate speech, a cominciare da quelli che si rifanno al suprematismo bianco. In queste settimane il gruppo che si occupa della moderazione dei social di Zuckerberg ha ritenuto troppo rischioso continuare a ospitare contenuti che hanno favorito il passaggio dalla violenza verbale a quella contro le persone passando dalle parole ai fucili. Il 9 settembre è toccato anche ai due principali gruppi neofascisti italiani, CasaPound e Forza nuova.

Via dunque le pagine nazionali, locali e anche quelle dei principali dirigenti. Sparite ma riammesse dopo qualche giorno anche quelle di alcune Onlus correlate. Rasati a zero i profili e le pagine di Gianluca Iannone, dei due vice Marco Clemente e Andrea Antonini e dell’ex segretario Simone Di Stefano, di Luca Marsella e della campionessa di preferenze romana Carlotta Chiaraluce. Cancellate anche le pagine di diversi consiglieri comunali e municipali, tra cui Andrea Bonazza di Bolzano. Spariti anche gli account ufficiali della giovanile di CasaPound, Blocco studentesco.

Indenne, invece, il network che fa riferimento a Lealtà azione che con il nome FederAzione si è riorganizzato dopo essere stato più di una volta, in passato, oggetto di cancellazione delle proprie pagine, probabilmente per le moltissime segnalazioni arrivate dagli utenti antifascisti. Per tutelarsi, la sezione italiana del movimento Hammerskin ha invitato i suoi seguaci a iscriversi alla newsletter direttamente dal sito. Allo stato attuale i 280 mila follower della pagina nazionale dei «fascisti del Terzo millennio», così come quelli di Forza nuova sono andati perduti.

Passato il primo momento di smarrimento corredato da annunci di azioni legali e abbondanti dosi di vittimismo, a qualche settimana di distanza dal Big Ban si assiste a una migrazione di account verso nuovi territori. La meta preferita è Vkontakte, conosciuta come Vk, letteralmente «in contatto», la versione russa di Facebook. Fondata nel 2006 da Pavel Durov che ha creato anche Telegram, concorrente di Whatsapp, oggi Vk è in mano ad alcuni oligarchi vicini a Vladimir Putin e con oltre 400 mila account è il sito più popolare in Russia. Qui si raduna, accolta a braccia aperte, una numerosa comunità italiana neofascista e nazionalista. Per capire come mai tanto interesse basta sbirciare qualche pagina come quello di Italia Fbannata (3.300 contatti circa) i cui aderenti si definiscono «pochi ma patrioti» e si impegnano quotidianamente rilanciare tutto ciò che altrove non è lecito. Tutti i gruppi dell’area fascio-sovranista o le pagine che diffondono fake news sono qui condivisi per ricostituire la ragnatela della propaganda. Chiarissima la linea pubblicata su un post di istruzioni per l’uso: «Vuoi un mezzo in più, che non ti censura se dici che Konare è un negro, perché lui non s’offende se lo chiami negro, perché tu non ti devi offendere ad essere chiamato bianco se lui ti chiama bianco mozzarella, perché un cinese non s’offende ad essere chiamato giallo e un giallo, un negro e un bianco possono chiacchierare senza per forza fare figli arcobaleno? Ecco, Vk non è altro che un mezzo per poter chiamare le cose col proprio, dignitosissimo e lecito (Sì, LECITO) nome».

I responsabili della comunicazione di CasaPound il 3 ottobre hanno deciso di riattivare uno spazio ufficiale proprio su Vk, una pagina aperta nel 2012 e gestita fino a oggi da utenti “in particolare ucraini” che postavano contenuti in cirillico. La pagina adesso è in italiano e conta poco più di 4.400 fan, un numero risibile per ora. Anche Forza nuova ha un gruppo ufficiale su Vk che ha 641 aderenti, una miseria.

Se la propaganda ha subito un arresto, l’organizzazione invece continua più o meno come prima. Le informazioni su iniziative o concerti corrono sulle chat, in particolare quelle criptate di Telegram, che offre anche la possibilità di aprire canali. Scandagliando il motore di ricerca ne appaiono una ventina che fanno direttamente riferimento a CasaPound dove sono principalmente rilanciati i post con gli appuntamenti culturali e politici, le indicazioni per i militanti per la partecipazione alla manifestazione della destra del 19 ottobre a Roma o le azioni coordinate sui territori.

Oggi oltre a CasaPound e alle sue propaggini, a cominciare dal Blocco studentesco, Altaforte e dal Primato nazionale, quasi tutta l’estrema destra si sta pian piano riorganizzando in questo modo. Forza Nuova, Generazione identitaria, Fronte della tradizione (con il canale Meridiano Zero che ha come pic l’ascia bipenne di Ordine nuovo) hanno lanciato i propri canali informativi e sono nati gruppi come Fascio littorio, una chat dove si scatenano i commenti più scorretti politicamente. 

Anche le librerie storiche dell’estrema destra come la Testa di Ferro e Raido hanno optato per la medesima soluzione. Delle decine di sedi locali di CasaPound, tutte cancellate dai social di Zuckerberg, qualcuna sta però riapparendo su Fb. Si aggirano i divieti utilizzando i nomi che ogni sezione si è data (come «Stoccafisso» che corrisponde a Cpi Cremona o «Asso di bastoni» che rimanda al gruppo di Torino, riaperte da poco) e prestando attenzione non pronunciare mai parole chiave o pubblicare loghi o immagini che violino la policy. Ci vorrà però tempo e denaro per riuscire a riconquistare parte della visibilità perduta. La possibilità che le pagine rimosse possano venire riattivate è quasi nulla, si tornerà a un maggior uso dei siti e dei forum, si incentiverà la comunicazione attraverso le chat, preservando almeno la parte relativa all’organizzazione. Quanto alla propaganda i gruppi neofascisti perdono un’arma formidabile ma il tema dell’utilizzo di social e della libertà di espressione, come vediamo oggi riguarda tutte e tutti. Essere su Facebook vuol dire firmare un contratto di utilizzo con una società privata e, fino a prova contraria non fa parte dei diritti costituzionali. Per quello c’è un ottimo documento cartaceo datato 1948, che i gruppi neofascisti li ha banditi da subito. Bisognerebbe che la politica se ne ricordasse.

(Pubblicato su Left il 25 ottobre 2019)

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